Ferrara, una vocazione per il tartufo
Un territorio vocato alla produzione di tartufo, dovuto al fatto che quello di Ferrara è un territorio alluvionale. Ricerche storiche svolte dall’Università di Bologna hanno poi dimostrato che la provincia dell’Emilia Romagna con la maggiore produzione di tartufo è proprio quella ferrarese. “Con quantità doppie – ci racconta Antonio Marchetti, Presidente di Arci Tartufi Ferrara – rispetto alle provincie di Parma e Bologna, che pure potevano godere del territorio di Carlo Vittadini”. La spiegazione, come spesso accade, affonda nella leggenda. “Si dice che le spore del tartufo siano discese attraverso l’acqua del Po. A seguito delle numerose inondazioni che hanno colpito il delta del fiume, si sarebbero diffuse lungo tutto il territorio”
Un territorio ricco di sorprese
Se dici Ferrara e gli associ il tartufo, pensi inevitabilmente al Bosco della Panfilia. Ma ciò sarebbe riduttivo. “Al di là del fatto che il Bosco della Panfilia risulta essere l’unico bosco di pianura esistente in Italia, non è improbabile trovare il tartufo all’interno della cerchia urbana della città. Così nei parchi delle ville, nei parchi pubblici o addirittura sulla cinta muraria si può trovare dal tartufo bianco al tartufo nero, fino all’uncinato” Una vocazione non sempre riconosciuta dal grande pubblico. “In Italia esistono nove varietà commercializzabili e commestibili, ma per i consumatori pare esista solo il tartufo bianco”
Commercio a porte chiuse, credenze e consuetudini persistono
Una conseguenza di credenze e consuetudini radicatesi nel tempo. “In origine – precisa il Presidente di Arci Tartufi Ferrara – a trovare il tartufo erano i contadini che lavoravano la terra mentre a consumarlo erano i ricchi possidenti terrieri che da questi lo ricevevano in dono. Erano poi i possidenti a creare una sorta di commercio a porte chiuse, alquanto profittevole. Un commercio a circuito chiuso ancora oggi persistente, con protagonista la più moderna figura del cavatore che si aggira di notte perché nessuno deve sapere dove trova il tartufo” A ciò si aggiunge il fatto che non viene mai scambiato di giorno. “Cavatore e commerciante si trovano sempre di nascosto, ciò alimenta l’alone di leggenda che aleggia attorno al tartufo”
Mercato sempre più capillare, consumo non sempre corretto
Negli ultimi anni qualche passo falso è stato comunque fatto, come dimostra il proliferare in tutta Italia di fiere e mostre-mercato dedicate a questo fungo ipogeo. “Ci si è resi conto che il tartufo bianco non nasce solo nelle Langhe, recentemente pare sia stato trovato anche in Sardegna” Ne è seguita una sempre maggiore presenza di produttori dello stesso in regioni non tradizionalmente famose come Molise, Basilicata, Liguria, Veneto ed Emilia. Aspetto sul quale bisogna invece continuare a lavorare è il corretto impiego del prodotto. “Molte persone pensano che il miglior modo di gustarlo sia affettarlo sopra ogni piatto. Invece Il tartufo va abbinato, a seconda della tipologia, su piatti diversi”
Divulgazione, l’importanza delle Associazioni
“Se fai un uovo all’occhio di bue o una battuta di Fassona, gli puoi mettere sopra il tartufo bianco a lamelle. Farlo con un nero pregiato sarebbe invece un grave errore, perché il tartufo nero ha bisogno di calore per poter sprigionare il proprio profumo e quindi deve essere cucinato” Particolari che richiederebbero una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, ecco che allora servirebbe una adeguata opera di divulgazione non solo da parte delle Associazioni. “Come associazione, da 14 anni ad ogni inizio primavera, facciamo serate di degustazione con il tartufo marzuolo che raccogliamo nelle nostre pinete. Le persone possono così apprezzarlo in ogni sua declinazione, dall’antipasto al dolce”
Attenzione al territorio, tartufo come risorsa
Una iniziativa lodevole, alla quale dovrebbe però aggiungersi il contributo di altri soggetti interessati. “Di certo i tartufai, ma anche le Amministrazioni Comunali che dovrebbero provvedere a piantumazioni mirate. In una città come Ferrara – conclude Antonio Marchetti – quando si piantano gli alberi si dovrebbe dare priorità ad alberi come pioppio, leccio, quercia e tiglio da accompagnare ad una mappatura delle piante tartufigene. In realtà, troppo spesso a guidare le scelte sono la scarsa conoscenza del territorio e del mondo del tartufo. Bisogna cominciare a prestare più attenzione al territorio, il tartufo non deve essere più considerato il cibo degli dei ma piuttosto una risorsa”
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